http://www.nerospinto.it/nero/2014/tete-a-tete-con-il-colore-raffaella-fiore/
Conobbi Raffaella una sera non qualunque: il primo compleanno di Nerospinto.
Truccatrice per la ballerina Maura di Vietri, la prima volta che la
vidi era immersa tra pennelli, spugnette, struccanti e tanti, tanti
colori diversi ed emanava energia pura, quasi tangibile.
Accanto a lei, stava la sua creatura: non più Maura, ma un fulgido
animale mitologico, colore dei tramonti e delle acque più scure; rimasi
affascinata da quel concretizzarsi di un sogno, intessuto sul corpo di
una persona che diventa vestigia, immagine, movimento.
Sì, Eleonora, mi farebbe molto piacere fare quattro chiacchiere con te, e così fu.
Il giorno dell’appuntamento, una volta imbracciata penna e taccuino,
incontro un paio di occhi profondi e scuri allegri e curiosi:
catalizzano su me tutte le loro energie.
Mi sento scrutata oltre le apparenze, le maschere e le armature che la vita ci costringe a indossare.
Come hai cominciato questo lavoro? E quali difficoltà hai incontrato?
Arrivo da una famiglia di sole donne, ed in questi casi è molto
preponderante la figura dell’Amazzone, la donna che non deve chiedere
mai. Una commistione di forza e fragilità senza pari.
Da bambina molto timida quale ero, mi rifugiai nel colore come
arma per scacciare le mie parole: la materia, la texture, le sfumature,
per me erano e sono fondamentali, mi fa vivere bene il mio lavoro.
Andando contro il volere di mia madre, scelsi appunto la strada
“artistica”: ho frequentato l’istituto d’arte, una scuola professionale,
divenendo così decoratrice.
Uscita da scuola cominciai a lavorare a livello performativo già a
scuola, di seguito collaborai con un vetrinista, come costruttrice;
dopo la scuola feci esperienza nel laboratorio di un vetrinista, come
decoratrice scenografica e per allestimenti, infine quasi per gioco
cominciai a lavorare nel turismo, come tour operator, realizzando
scenografie teatrali. Viaggiai per quasi 10 anni.
Nel 2001 mi fu proposto, all’interno dell’ultimo tour operator
presso il quale svolgevo il mio impego, di rivestire il ruolo di
responsabile dei servizi tecnici (teatro, allestimenti costumistici e
scenografici.
Decisi dunque di trasferirmi a Milano e colsi l’occasione per
frequentare la scuola la BCM, scuola per truccatori, facendo di una
passione, nata durante gli anni nei villaggi, il mio lavoro.
Nel 2008 cominciò la crisi del tour operator nel quale prestavo
servizio, si pose davanti a me l’occasione per concretizzare il mio
sogno.
Senza pari è l’approcciarsi al trucco come creazione di un’opera
d’arte che sia unicamente incentrata sul corpo, e sulla caducità ed
unicità del momento e della mia creazione.
All’inizio, è molto difficile: nulla e nessuno aiuta, ed è
necessario capire cosa davvero piaccia e su cosa ci si possa rivolgersi.
Io mi sono incentrata sul make up, moda, eventi e TV, parallelamente al
concetto di “Costume scultura”.
Quali influenze mitologiche, fantastiche, storiche e contemporanee hai avuto, nella formazione del tuo stile personale?
Io credo in più maestri: un esempio calzante è Klimt, con i suoi
colori, che ho cercato di assimilare reinterpretandoli con applicazioni
differenti nei costumi scultura.
Sono molto legata alla preziosità di questi colori: non tanto come
ricchezza, ma come calore e forza, rappresentano la mia forza
personale.
Poi ancora la fotografia, il cinema, soprattutto i film in costume
come “Elizabeth”, e poi must, come “Dracula”, di Coppola, e poi ancora
la danza, le produzioni di costumi teatrali e tutta la tradizione
pittorica: molto influsso ha la mitologia intesa come scelta
coloristica, associata all’espressività del colore come devozione verso
una divinità, come racconto di fatti fantastici.
Il colore esprime l’anima delle persone, dei popoli: colori caldi e freddi si mescolano e intrinsecano, creando unità grandiose.
Descrivimi un trucco ben fatto.
Tecnicamente un trucco ben fatto è nella base del viso, una volta
creata, si ha raggiunto il 90% di un buon trucco. Il segreto del trucco è
non mascherarsi, ma dare un valore aggiunto alla propria personalità.
Con un’autoanalisi allo specchio si possono scoprire realtà sorprendendo
di sè, individuando i pregi e valorizzandoli. Ad esempio, in te vedo
bellissime sopracciglia, magari con qualche imperfezione, ma di base
belle ed equilibrate. Questo noto, la bellezza del particolare inserito
nel suo contesto. (Arrossisco: la mattina stessa mi ero impegnata, forse
non tanto lucidamente, a sistemarmi le sopracciglia. Raffaella sorride.
N.d.R.).
Il trucco è come un vestito: se non lo si sente proprio, sarà
impossibile da indossare. Deve essere la bellezza della donna a
risaltare, non il trucco in sé.
Emotivamente, per me un bel trucco è una coccola: egoisticamente
sembra sia fatto per se stesse, ma in realtà è ancora per gli altri;
regalare bellezza è sempre un bel gesto.
Nel lavoro del Make Up Artist, si viene a contatto con moltissimi prodotti, quale è il tuo favorito?
Ombretto e fondotinta: il primo e giocoso, atto a creare le
sfumature, a divertisti con il colore. Il primo è quasi magia e mistero:
si creano delle sfumature invisibili agli altri, ma estremamente
valorizzanti.
Il tuo concetto di “costume scultura”?
Nacquero dieci anni fa: ne portai uno al mio esame, alla BCM di
Milano, ispirato alle isole Galapagos; era completamente riciclato,
utilizzando dei tubi di flebo.
Da allora, coltivai maggiormente questo discorso, ad oggi ne conto
circa dieci, adatti sia per istallazioni che per performances.
Il ‘Costume Scultura’ è una creazione artistica che sposa
materiali innovativi, oppure materiali comuni che utilizzati in modo
diverso possono vivere una seconda volta …una spugnetta in ferro, una
fotografia ,dei vecchi orecchini ,bottiglie di plastica scarti di filo
tessile oppure di tessuto. Cercare l’armonia tra tutti questi materiali
attraverso l’originalità è l’obiettivo principale, il tutto può essere
unito o supportato dall’espressività di una performance di altre
discipline artistiche.
Il costume che feci indossare a Maura, quando la conobbi, fu un
costume da geisha, ispirato al libro “Memorie di una geisha”. Un costume
molto complesso, realizzato con anelli di fogli in acetato,
trasparenti, tagliati ed intrecciati in questa cascata, sposato ad un
body painting completamente bianco, collegato al discorso del dolore e
della morte, in coesistenza con la purezza.
Maura l’interpretò divinamente, quasi danzando e raccontando le
varie fasi per diventare geisha durante uno shooting fotografico, che
quasi fu performance, raccontata attraverso scatti rubati.
Molto interessante è il concetto di trucco come creatura: come hanno genesi le tue “maschere pittoriche”?
Il bello del trucco artistico, è che si ha la possibilità di
spaziare tantissimo di ambito in ambito: lavoro in televisione, trucco
fotografico e poi, il trucco artistico.
Nel trucco artistico si ha la possibilità di esprimersi anche
mediante tratti concettuali; nel Bennu, il concept per lo spettacolo di
Maura, i colori Rosso e Blu erano abbinati alla nascita ed alla
conservazione, alla forza ed a una sorta di genesi ancestrale.
Io tendo a partire da delle ricerche figurative ed iconografiche;
una volta trovati i “retroscena” alla mia idea, mi concentro sulla
scelta dei colori: parto dal viso, tracciando un’idea completa, per poi
spostarmi ai capelli e, infine, al body painting e alle vesti.
Amo quando i materiali riescono a ricreare degli effetti sonori,
in modo tale da dare alla mia creatura una materialità molto più viva e
presente.
È da aggiungere che ho la tendenza a non rispettare mai il mio
piano originale: quando mi trovo sul momento di realizzare in maniera
concreta la mia opera, riverso anche le mie emozioni e le mie
suggestioni.
Che rapporto hai con le tue creazioni, una volta che le performance si sono concluse?
Tendo all’ipercritica, con una vena di timidezza che molti non
sospetterebbero: guardo alle mie opere del passato con un’acquisita
maturità e una sorta di tenerezza. Fino a qualche anno fa, avrei
cambiato ogni cosa, ora le lascerei intatte, perché le mie opere
rappresentano anche ciò che ero in quel determinato momento della mia
vita, e cambiarle sarebbe come cambiare me stessa.
Sai, io ho quarant’anni, e sono molte le cose a cambiare dai
trenta in poi. Si matura con una velocità impressionante. (Sorride,
sorride sempre, Raffaella, e non ha paura di mostrarsi. N.d.R.).
Com’è vissuto, a parer tuo, il body painting, in Italia?
Ahimè, si guarda al body painting con sguardo retrogrado, forse un po’ troppo “prude”.
Il fatto che comunque si vada a dipingere su e con la nuda pelle,
viene associato ad un discorso di nudità e quindi di volgarità.
Bisognerebbe tralasciare la fisicità intesa come tale: il corpo
può dar vita, effettivamente, al colore, ed è qualcosa di stupendo.
Da un po’ di anni a questa parte in Italia si sta organizzando
qualche festival di body painting, ma è ancora poca cosa rispetto
all’innovazione e all’apertura mentale estera: più importante tra tutti è
il “Word Body Painting Festival” che si tiene in Austria; è bellissimo,
si svolge in una settimana intera, ed è tutto incentrato su
un’accettazione completa della nudità, anche completa, vista come opera
d’arte.
Una domanda forse scontata, ma comunque importante: colore preferito?
Tecnicamente: oro e bronzo.
Emotivamente: rosso.
E poi, a seconda dei periodi, mi affeziono ad un colore: ora sono
molto legata a colori naturali, legati alla natura ed alla terra
(marrone, beige etc.), ma cambio spesso.
A livello tattile, tessuto preferito?
Passo da un estremo all’altro: amo la seta, con la sua fragilità e
la tela, con la sua ruvidità grezza e malleabile. Adoro anche la carta,
così fine e cangiante.
Un metallo, prezioso o non, che possa rappresentarti?
L’argento: trovo in esso una forza elegante e calibrata alla quale
non so resistere. Nelle mie opere ho un moto d’amore verso l’oro, ma su
me stessa, sempre l’argento.
Si è parlato tanto del tuo trucco su visi di altri, ma sul tuo, come trucchi?
Prima utilizzavo il Colore in sé e per sé, senza mai sfociare
nella volgarità, sia chiaro, ma ero molto legata all’impatto visivo di
toni sgargianti. Ora gestisco il trucco con praticità, senza però
trascurare il fattore di tonalità, per me sempre molto importante: sono
un po’ di anni nei quali sono estremamente affezionata ai rossetti.
Tendo ad avere un trucco nude, e vestire le labbra con colori sempre
diversi.
Per me il rossetto è l’accessorio imprescindibile, con qualsiasi look.
Infine, se tu potessi dedicare le tue parole a qualcuno, per chi sarebbero?
Le dedicherei a mia madre, con la donna che sono diventata, avrei
avuto la possibilità di dirle molte cose che non ha forse avuto il tempo
di conoscere in me.
Ci congediamo, e mi avvio verso casa, pensierosa; Raffaella possiede
un dono che si ottiene con il tempo: guardare, nelle minuzie e nei
particolari.
Perché guardare e vedere non sono sinonimi.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti di questo blog devono essere approvati dall'autrice per essere pubblicati. Grazie per la pazienza!